sabato 22 maggio 2010

MEDIA EDUCATION





Consiglio anche un secondo testo molto interessante e ricco di spunti operativi (con CD ROM allegato) per un'esperienza di Media Education a scuola.
Segnalo inoltre un sito altrattanto interessante.

Buona connessione!!
http://www.medmediaeducation.it/

2° Sincrono Prof. Rivoltella

1° sincrono Prof. Rivoltella

CONNETTIVISMO di Siemens

Per cercare di spiegare una nuova modalità di apprendere basata sul paradigma delle reti, è emersa recentemente una nuova teoria dell'apprendimento nell'era digitale, denominata connettivismo, formulata per la prima volta da George Siemens sulla base delle sue analisi dei limiti che teorie quali il comportamentismo, il cognitivismo e il costruttivismo evidenziano nel tentativo di spiegare gli effetti dell'uso delle tecnologie sul nostro modo di vivere, di comunicare, di apprendere. Il connettivismo si rapporta alla teoria dell'apprendimento abbinata ai nuovi strumenti della tecnologia

Aspetti
Un aspetto peculiare del connettivismo è l'uso della rete con nodi e connessioni come metafora centrale per spiegare come avviene l'apprendimento.
In questa metafora, un nodo è qualunque cosa che possa essere connessa ad un altro nodo: informazioni, dati, immagini, sentimenti. L'apprendimento è un processo che crea delle connessioni e sviluppa una rete. Non tutte le connessioni, in questa metafora, sono dotate di uguale forza nella rete; in realtà, molte connessioni possono essere abbastanza deboli.

Principi del connettivismo
-L'apprendimento e la conoscenza si fondano sulla differenza di opinione.
-L'apprendimento è un processo di connessione di nodi specializzati o fonti di informazione.
-L'apprendimento può essere residente in applicazioni non umane.
-La capacità di sapere di più è più importante di quanto già si sa al momento.
-Alimentare e mantenere le connessioni è necessario per facilitare l'apprendimento permanente.
-La capacità di individuare connessioni fra campi, idee e concetti è un'abilità centrale.
-La validità (conoscenze esatte e aggiornate) è l'intento di tutte le attività di apprendimento di stampo connettivista.
-Prendere delle decisioni è esso stesso un processo di apprendimento: saper scegliere cosa imparare e il significato delle informazioni in entrata è visto attraverso la lente di una realtà in mutamento. Se adesso c'è una giusta risposta, essa potrebbe rivelarsi errata domani a causa delle alterazioni del clima delle informazioni che influenzano la decisione.

Un testo di riferimento irrinunciabile per conoscere i principi che sottendono questa teoria è Knowing Knowledge, di George Siemens.

Il connettivismo nell'e-learning
Mohamed Ally delll'Università di Athabasca, Canada, sostiene il connettivismo considerandolo una teoria dell'apprendimento più appropriata per l'e-learning rispetto a meno recenti teorie quali comportamentismo, cognitivismo e costruttivismo. La sua posizione si fonda sull'idea che il mondo è cambiato diventando più interconnesso attraverso la rete, quindi le teorie dell'apprendimento che si sono sviluppate prima di questi cambiamenti globali sono meno pertinenti. Tuttavia, Ally sostiene che “ciò che occorre non è una nuova teoria stand-alone per l'età digitale, ma un modello che integri le differenti teorie per guidare la progettazione dei materiali on line”.

Critiche al connettivismo
Il connettivismo è stato soggetto anche a critiche su parecchi fronti.
Pløn Verhagen ha sostenuto che il connettivismo non è una teoria dell'apprendimento, ma piuttosto una “visione pedagogica.” Verhagen afferma che le teorie dell'apprendimento dovrebbero trattare del livello educativo (come si impara), invece il connettivismo si rivolge al livello curricolare (che cosa si impara e perché si impara).
Bill Kerr, un altro critico del connettivismo, crede che, sebbene le tecnologie influenzino gli ambienti di apprendimento, le teorie attualmente esistenti sono sufficienti per spiegare la riflessione sui modi di prodursi della conoscenza nell'era digitale.
Anche Antonio Calvani mette in guardia dai facili entusiasmi, soprattutto quando in queste teorie si cerca di coinvolgere il mondo della scuola pretendendo che essa si adegui ai nuovi principi sottovalutando la complessità di operazioni tecniche e cognitive cui si perviene solo dopo un lungo ed articolato percorso formativo, percorso basato anche sull'apporto della cultura tradizionale. " Un trasferimento selvaggio del connettivismo alla scuola può indurre a credere che basti mettere gli allievi in rete per produrre conoscenza, consolidando quel famoso stereotipo diffuso, secondo cui più tecnologie si usano, in qualunque modo lo si faccia, e meglio è per l'apprendimento."

Tratto da Wikipedia

Testo che vi consiglio



A scuola con i media digitali
A cura di Piercesare Rivoltella e Simona Ferrari
Problemi, didattiche, strumenti. [Edito da Vita e Pensiero]
Libri
Pubblicato: 23 febbraio 2010


I media digitali stanno trasformando le pratiche di consumo dei giovani. Mobilità, socialità, marcata autorialità, ne fanno un crocevia per le logiche di costruzione della cultura, l’educazione, la cittadinanza. La scuola e, in generale, le agenzie educative non possono non raccogliere la sfida che proviene da questi dispositivi, veri e propri ambienti per gli individui e i contesti in cui essi operano e interagiscono. Il volume raccoglie in questo senso i risultati di una riflessione condotta negli ultimi anni dal CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Informazione e alla Tecnologia) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore sia sul versante della concettualizzazione teorica sia della sperimentazione educativa. Il CD-Rom allegato, oltre ai materiali della ricerca, contiene un numero cospicuo di schede didattiche espressamente rivolte a insegnanti, animatori socio-culturali, educatori.

Gli Autori
Piercesare Rivoltella è professore ordinario di Didattica e tecnologie dell’istruzione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano. Direttore del CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Informazione e alla Tecnologia), è presidente della SIREM (Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale). Si occupa nella sua ricerca di Media Education e tecnologie didattiche e dirige la rivista «REM – Research on Education and Media». Trai i suoi ultimi lavori: Screen generation (Vita e Pensiero, Milano 2006), Digital Literacy (Herschey, 2008), Media e tecnologie per la didattica (con Paolo Ardizzone, Vita e Pensiero, Milano 2008).

Simona Ferrari è assegnista di ricerca presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano. Dottore di ricerca in Psicologia dei processi linguistici e comunicativi, è coordinatore del CREMIT, Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Informazione e alla Tecnologia), dell’Università Cattolica. Interessata ai temi della valutazione e della formazione degli insegnanti nel campo delle tecnologie didattiche, è autrice di numerosi saggi ed articoli. Ha pubblicato Giochi di rete (Milano 2006).

giovedì 8 aprile 2010

I BLOG



WOW ormai è diventata una pratica globale: ACTING GLOBALLY

mercoledì 17 marzo 2010

Per essere filosofi ci vuole un maestro



Insegnare vuol dire sedurre. Il docente deve trasmetterci la passione.
...Come ho rivissuto lo splendido percorso con Andreas...GRAZIE ANCORA!!

«C’è più da fare a interpretare le interpretazioni che a interpretare le cose, e ci sono più libri sui libri che su altri argomenti: non facciamo che commentarci a vicenda. Tutto pullula di commenti; di autori, c’è grande penuria»: adesso più che mai le parole di Montaigne, nella splendida e ormai storica traduzione di Fausta Garavini, suonano di grande attualità. Proprio in questi ultimi anni, a causa di una serie di insensate e sciagurate riforme, i classici della filosofia e della letteratura occupano un posto sempre più marginale nelle scuole e nelle università. Gli studenti percorrono le tappe della loro carriera nutrendosi di manuali, commenti, antologie, bignamini di ogni genere. Sentono parlare e leggono notizie di oggetti, i classici, di cui, nei casi migliori, conoscono solo qualche pagina presente nei numerosi «florilegi» che hanno invaso il mercato dell’editoria scolastica e universitaria.

Purtroppo questa tendenza non nasce dal nulla. Al contrario: diventa espressione di una società sempre più stregata dal mercato e dalle sue leggi. La scuola e le università sono state equiparate alle aziende. I presidi e i rettori, spogliati dei loro panni abituali di professori, vestono gli abiti di manager. Spetta a loro far tornare i conti, rendere competitive le imprese di cui sono a capo. Innanzitutto il «profitto»: bisogna rispettare i tempi nei parametri previsti dai nuovi protocolli ministeriali.

Ma allora che fare? Invitare gli studenti a lavorare di più per compiere il loro itinerario nei tempi e nei modi migliori? Oppure ridurre le difficoltà per rendere più agevole il raggiungimento del traguardo? Questi anni di applicazione della riforma hanno ormai rivelato con chiarezza che è stata la scelta della semplificazione, per non dire della banalizzazione, a dettare legge negli atenei. Fatta salva qualche piccola isola, ormai la pedagogia edonistica ha incancrenito i gangli vitali dell’insegnamento. Pensare di inserire la lettura integrale dei «Saggi» di Montaigne o di qualche dialogo di Platone potrebbe essere considerato come una seria minaccia alla prosperità dell’azienda e l’incauto professore potrebbe finire anche sotto «processo».

Eppure, come ricorda George Steiner, sembra impossibile concepire qualsiasi forma di insegnamento senza i classici. L’incontro tra un docente e un discente presuppone sempre un «testo» da cui partire. Senza questo contatto diretto sarà difficile che gli studenti possano amare la filosofia o la letteratura e, nello stesso tempo, sarà molto improbabile che i professori possano esprimere al meglio le loro qualità per stimolare passione e entusiasmo nei loro allievi. Si finirà per spezzare definitivamente quel filo che aveva tenuto assieme la parola scritta e la vita, quel circolo che ha consentito a giovani lettori di imparare dai classici ad ascoltare la voce dell’umanità e, poi col tempo, dalla vita a comprendere meglio i libri di cui ci si è nutriti. Gli assaggi di brani selezionati non bastano. Un’antologia non avrà mai la forza di suscitare reazioni che solo la lettura integrale di un’opera può provocare.

E all’interno del processo di avvicinamento ai classici, anche il professore può svolgere un ruolo importantissimo. Basta leggere le biografie o le autobiografie di grandi studiosi per trovare quasi sempre un riferimento a un docente che durante gli studi liceali o universitari è stato decisivo per orientare gli interessi verso questa o quella disciplina. Ognuno di noi ha potuto sperimentare quanto l’inclinazione per una specifica materia sia stata, molto spesso, determinata dal fascino e dall’abilità dell’insegnante...

...L’insegnamento implica sempre una forma di seduzione. Si tratta, infatti, di un’attività che non può essere considerata un «mestiere», ma che nelle sue forme più nobili e più autentiche presuppone una vera e propria vocazione. «Una lezione di cattiva qualità — ammonisce George Steiner—è quasi letteralmente un assassinio e, metaforicamente, un peccato». L’incontro autentico tra un maestro e un allievo non può prescindere dalla passione e dall’amore. «Non si impara a conoscere — ricorda Max Scheler citando le parole da lui attribuite a Goethe — se non ciò che si ama, e quanto più profonda e completa ha da essere la conoscenza, tanto più forte, energico e vivo deve essere l’amore, anzi la passione».

Oggi purtroppo le aziende dell’istruzione, più attente alla quantità che alla qualità, chiedono ben altro ai loro docenti. Il processo di burocratizzazione che ha pervaso scuole e università prevede per prima cosa la partecipazione attiva alla cosiddetta vita amministrativa. Lo studio e la ricerca sembrano un lusso da negoziare con le autorità accademiche. Quel fenomeno che aveva tenuto assieme, fino a non molti anni fa, insegnamento e lavoro scientifico nelle università italiane appare sempre più un miracolo improbabile.

Non è impossibile immaginare che le stesse biblioteche — quei «granai pubblici », come ricordava l’Adriano della Yourcenar, in grado di «ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire » — finiranno, a poco a poco, per trasformarsi in polverosi musei. All’interno di questo contesto sarà difficile immaginare un docente che insegni con amore e passione e studenti pronti a lasciarsi infiammare. «La gente —annotava Rilke—(con l’aiuto di convenzioni) ha dissoluto tutto in facilità e dalla facilità nella più facile china; ma è chiaro che noi ci dobbiamo tenere al difficile ». Il sapere, come ricordava Giordano Bruno e come ricordano tanti classici della filosofia e della letteratura, non è un dono ma una faticosa conquista.